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“Scusi, ha da accendere?” e ti allungano un
fungo ! Questo è quanto presumibilmente
succedeva agli uomini preistorici che, dopo aver
scorazzato di giorno a caccia di dinosauri, alla
sera sentivano l’esigenza di accendere un bel
falò per riunirsi attorno alla sua luce e al suo
tepore. Questo fungo è oggi conosciuto con il nome scientifico di Fomes fomentarius, e la sua fama è ormai indissolubilmente legata a quel suo antico utilizzo. Infatti l’etimologia del suo nome scientifico è Fomes = esca per il fuoco, fomentarius = utilizzato come esca per il fuoco; inoltre i suoi nomi volgari sono “fungo dell’esca” o “fungo focaio”: più chiaro di così ! |
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Il Fomes fomentarius è un
fungo a vita pluriannuale, parassita di svariate
latifoglie, abbastanza comune in particolare su
faggio. I carpofori sono sessili, inizialmente a
forma di "zoccolo" poi di “mensola capovolta”
larghi fino a 50 cm e più; in esemplari giovani
la superficie superiore è molle, di colore
grigio cenere, più chiara verso il margine e
presenta tipici cercini concentrici e ondulati
che rappresentano le zone di accrescimento; a
maturazione indurisce e assume una colorazione
grigio-brunastra più o meno scura.
I tubuli sono lunghi, a più strati, rugginosi,
con pori fini, rotondi,
piccoli, inizialmente bianco crema poi
brunastri. Il contesto (la carne) è suberoso o
spugnoso, bruno-rossastro, con odore
gradevolmente fungino oppure di
legno, o anche un po’ di banana, specialmente in
prossimità dei tubuli. |
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Il fuoco, “materia divina
e incorruttibile degli astri e dell’anima” |
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Il fuoco, ritenuto dai naturalisti greci uno dei quattro elementi costitutivi dell’universo, “materia divina e incorruttibile degli astri e dell’anima”, non era nelle disponibilità dei nostri antenati preistorici come lo erano invece aria, acqua e terra. Il fuoco provocato da fulmini o eruzioni vulcaniche mostrava evidente la sua grande potenzialità termica e luminosa, ma era di difficile utilizzo: il problema era avere il fuoco in modo circoscritto e soprattutto averlo quando serviva. |
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Nella storia dell’umanità
grande è l'importanza che ha avuto il fuoco,
fonte di luce e di calore. I1 focolare era il
legame che univa le famiglie alla loro terra ed
era la base della convivenza sociale, poiché il
fuoco era intimamente legato alle più svariate
manifestazioni di vita e costituiva un dono
celeste per i benefici materiali e morali che
sapeva diffondere con il suo tepore. |
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Nei censimenti primitivi si
contava la popolazione “per fuochi”, anche se
attorno ai grandi camini, o al magro fuoco che
si accendeva fra due pietre in mezzo alla fumosa
cucina, si raccoglievano vere e proprie tribù
sotto la guida del vecchio patriarca. |
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E ben a ragione uno
scrittore fa dire a un suo personaggio che aveva
ricevuto una visita mentre stava consumando il
suo frugale pasto a base di pane e formaggio:
«Non è una casa questa... perché manca il
fuoco!... più giù troverete le vere case, con il
loro pennacchio di fumo». |
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Ancora oggi del resto,
alcune popolazioni selvagge, non ancora
raggiunte dai progressi del mondo civile,
adorano e temono il fuoco, definito «fiore rosso
.. fratello del sole»; e quando la tribù viene
privata dai suoi benefici, per la negligenza del
guardiano del fuoco, la tristezza si
impadronisce delle loro menti. |
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Il metodo della
percussione, primo metodo di “creazione del
fuoco” |
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L’uomo aveva da poco imparato a camminare in
modo eretto, quando si rese conto che
percuotendo con forza e “di striscio” alcuni
tipi di pietra venivano emesse delle scintille,
interpretate come piccoli frammenti di fuoco
dalla vita effimera. Si trattava di farle cadere
su qualche materiale infiammabile che facesse da
esca per accendere un vero fuoco; un modo per
copiare l’evento naturale del fulmine che
provocava un incendio colpendo un albero.
Logicamente non conosciamo tutto il processo
investigativo dell’epoca, ma sicuramente avranno
provato inizialmente a incendiare legno e
foglie, senza un risultato apprezzabile. |
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Il
risultato atteso arrivò invece utilizzando del
materiale cotonoso ricavato con l’abile e
paziente manipolazione di un fungo lignicolo
molto diffuso, appartenente alla famiglia
Polyporaceae (materiale cotonoso
nell’antichità utilizzato anche con i compiti
emostatici oggi espletati dal cotone idrofilo,
oltre che come surrogato del tabacco da fiuto). |
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Due pezzi di selce, una roccia durissima
costituita per lo più da quarzo
microcristallino, percosse violentemente l’una
contro l’altra provocano una luminescenza
localizzata nel punto d’impatto, secondo un
fenomeno conosciuto come ”triboluminescenza”. Ma
in questo modo sarà impossibile generare delle
scintille capaci di staccarsi dal punto di
collisione. Per ottenere il fuoco è necessaria
una scintilla capace di planare fino ad un’esca
fomentaria posta ad una certa distanza ed è
quindi necessario che almeno uno dei due
elementi collisi sia un solfuro naturale di
ferro.
Infatti l’azione meccanica che si
esercita sui solfuri naturali di ferro (pirite o
marcassite) avrà come conseguenza non una
sterile luminescenza ma una reazione di
combustione vera e propria, ovvero una scintilla
la cui vita durerà per qualche secondo. |
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Queste particelle incandescenti sono provocate dagli oltre 1000 °C sprigionati per il violento impatto tra le pietre e che hanno innescato la combustione dello zolfo. |
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Per percuotere il
solfuro naturale di ferro allo scopo di
provocare scintille occorrono pietre
estremamente dure e compatte, quali la roccia
quarzifera, il calcedonio e la pietra silicea;
inoltre è preferibile che queste pietre abbiano
forma e dimensione adeguata all’impiego. |
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Per esempio, esistono
reperti archeologici in cui tali pietre sono
sapientemente inserite in manici ricavati da
corna di cervo. |
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La scelta delle
esche da
battifuoco è rimasta circoscritta a funghi
lignicoli della Famiglia Poliporaceae, e in
particolare a
Fomes
fomentarius risultato molto funzionale
avendo al suo interno una parte (detta “amadou”
dagli archeologi sperimentatori e “contesto” o
“carne” dai micologi) particolarmente sensibile
alla scintilla che vi cade sopra, incendiandosi
subito, ma lentamente. |
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Alcuni archeologi sperimentatori hanno provato che la Polyporacea migliore come esca per il fuoco è
Piptoporus
betulinus,
comune parassita delle betulle, che
però non è mai stato ritrovato in resti
archeologici. |
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Il fungo più
antico e più utile nella storia dell’umanità |
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Nonostante la sua natura
deperibile, antichissimi resti di
Fomes
fomentarius sono stati eccezionalmente
ritrovati in varie località. Nel sito di Star
Carr nello Yorkshire in Inghilterra, negli
strati del Paleolitico superiore è stata
rinvenuta una grande quantità di questi funghi
associata a dei noduli di pirite; nel Cantone di
Friburgo sono stati rinvenuti alcuni
Fomes fomentarius associati a
percussori litici e a solfuri di ferro collocati
negli strati Neolitici del sito; inoltre la
celeberrima mummia del Similaun portava nelle
sua cintura-marsupio vari frammenti di fungo
fomentario ricoperti di polvere di solfuro
naturale di ferro e una pietra focaia di selce. |
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Ormai è chiaro che
l’impiego di tali utensili era indirizzata
all’accensione del fuoco con il metodo della
percussione, metodo che ha permesso di accendere
il fuoco dalla preistoria fino a meno di due
secoli fa. E in questa grande conquista per il
progresso dell’umanità, il “fungo dell’esca” ha
avuto un ruolo sicuramente da grandissimo
protagonista. La sua efficacia nello svolgere un
compito così importante lo ha reso
insostituibile per un periodo incredibile; basti
pensare che era preparato dai nostri antenati
nell’età della pietra ed è giunto quasi ai
giorni nostri, addirittura lavorato su grande
scala negli ultimi secoli in Boemia e Ungheria
ed esportato in ogni paese dell'Europa
Occidentale. Solo l’invenzione dei fiammiferi,
datata 1832, è riuscita a “mandare in pensione”
il mitico “fungo dell’esca”. |
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Per chi volesse provare l’emozione di “creare un fuoco
preistorico” |
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Come
prima cosa occorre trovare un
fungo fomentario. Una vecchia
faggeta è l’ambiente dove è
nettamente più probabile trovare
Fomes fomentarius. |
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Lo
strato di “amadou” si trova
subito sotto la corteccia del
fungo, per cui se il fungo è
giovane e ha un carpoforo
tenero, sarà possibile
affondarvi il coltello o
addirittura romperlo con le
mani, altrimenti se la corteccia
è uno strato duro, sarà
possibile raggiungerlo scavando
a partire dalla superficie del
fungo che era a contatto con
l’albero. Dopo aver raggiunto l’amadou
si potrà procedere al suo
trattamento secondo due
modalità: la
raschiatura-cotonatura o il
taglio-estensione.
Il
metodo della
raschiatura-cotonatura si
applica quando il fungo è ormai
secco, completamente
disidratato, e prevede
l’asportazione dell’amadou con
una scheggia o uno strumento di
pietra con il quale si va a
raschiare lo strato di amadou
direttamente all’interno del
fungo; in questo modo si ottiene
un preparato molto soffice e
simile al cotone, pronto per
l’utilizzo.
Il
metodo del taglio-estensione, si
applica con gli amadou elastici
che sono tali perché idratati,
tipici dei funghi freschi e
appena raccolti; prevede
l’estrazione a brandelli dell’amadou
dall’interno del fungo,
l’estensione fino ad ottenere
uno strato sottile, quindi
l’asciugatura prima
dell’utilizzo.
E’
importante segnalare che i
funghi fomentari raccolti
dovranno essere conservati con
cura; infatti un fungo invaso da
larve o insetti non è
utilizzabile in quanto l’amadou
si trasforma in uno strato non
coeso che tende a sgretolarsi.
Per evitare il deterioramento
del fungo è consigliabile
procedere alla cotonatura o
estensione dell’amadou subito
dopo la raccolta.
La
percussione fra un percussore
litico e un nodulo di marcassite
o di pirite genera delle
scintille con una vita di alcuni
secondi e che possono arrivare a
una distanza di 40-50
centimetri. La percussione deve
essere finalizzata alla
produzione di scintille veloci e
con traiettoria rettilinea, che
quindi possano raggiungere
l’esca ancora molto calde. |
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