Fomes fomentarius  
A.M.B. Associazione Micologica Bresadola - a cura del Gruppo " G. Ceriani di Saronno"
Fomes fomentarius, il fungo dell'esca:
 di diritto nella storia dell'umanità

- Il fuoco, "materia divina e incorruttibile degli astri e  dell' anima"

- Il metodo della percussione, primo metodo di "creazione del fuoco"

- Il fungo più antico e più  utile nella storia dell'umanità

- Per chi volesse provare l'emozione di "creare un fuoco preistorico"

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“Scusi, ha da accendere?” e ti allungano un fungo ! Questo è quanto presumibilmente succedeva agli uomini preistorici che, dopo aver scorazzato di giorno a caccia di dinosauri, alla sera sentivano l’esigenza di accendere un bel falò per riunirsi attorno alla sua luce e al suo tepore. Amanita caesarea deve il suo nome specifico alla grande considerazione in cui era tenuta dal grande imperatore romano Giulio Cesare per la sua prelibatezza in cucina, mentre Polyporus tuberaster, il fungo della pietra fungaia, viene ricordato nei testi antichi come primo esempio di coltivazione domestica di funghi eduli, al riparo dal soffio del serpente che avrebbe potuto trasformarli in bocconi velenosi. Non di rado avvelenamenti di imperatori o duchi a seguito di intrighi di corte hanno visto nelle varie epoche come protagonisti i nostri amici funghi. Ma nella storia dell’umanità i funghi hanno visto un loro rappresentante avere un ruolo ben più importante rispetto a quello legato alla loro buona o cattiva commestibilità, un ruolo di attore protagonista nientemeno che, appunto, nella “creazione del fuoco”.

Questo fungo è oggi conosciuto con il nome scientifico di  Fomes fomentarius, e la sua fama è ormai indissolubilmente legata a quel suo antico utilizzo. Infatti l’etimologia del suo nome scientifico è  Fomes = esca per il fuoco, fomentarius =  utilizzato come esca per il fuoco; inoltre i suoi nomi volgari sono “fungo dell’esca” o “fungo focaio”: più chiaro di così !

 

Il Fomes fomentarius è un fungo a vita pluriannuale, parassita di svariate latifoglie, abbastanza comune in particolare su faggio. I carpofori sono sessili, inizialmente a forma di "zoccolo" poi di “mensola capovolta” larghi fino a 50 cm e più; in esemplari giovani la superficie superiore è molle, di colore grigio cenere, più chiara verso il margine e presenta tipici cercini concentrici e ondulati che rappresentano le zone di accrescimento; a maturazione indurisce e assume una colorazione grigio-brunastra più o meno scura. I tubuli sono lunghi, a più strati, rugginosi, con pori fini, rotondi, piccoli, inizialmente bianco crema poi brunastri. Il contesto (la carne) è suberoso o spugnoso, bruno-rossastro, con odore gradevolmente fungino oppure di legno, o anche un po’ di banana, specialmente in prossimità dei tubuli.

 

Il fuoco, “materia divina e incorruttibile degli astri e dell’anima”

 

Il fuoco, ritenuto dai naturalisti greci uno dei quattro elementi costitutivi dell’universo, “materia divina e incorruttibile degli astri e dell’anima”, non era nelle disponibilità dei nostri antenati preistorici come lo erano invece aria, acqua e terra. Il fuoco provocato da fulmini o eruzioni vulcaniche mostrava evidente la sua grande potenzialità termica e luminosa, ma era di difficile utilizzo: il problema era avere il fuoco in modo circoscritto e soprattutto averlo quando serviva.

 
 

Nella storia dell’umanità grande è l'importanza che ha avuto il fuoco, fonte di luce e di calore. I1 focolare era il legame che univa le famiglie alla loro terra ed era la base della convivenza sociale, poiché il fuoco era intimamente legato alle più svariate manifestazioni di vita e costituiva un dono celeste per i benefici materiali e morali che sapeva diffondere con il suo tepore.

 
 

Nei censimenti primitivi si contava la popolazione “per fuochi”, anche se attorno ai grandi camini, o al magro fuoco che si accendeva fra due pietre in mezzo alla fumosa cucina, si raccoglievano vere e proprie tribù sotto la guida del vecchio patriarca.

 
 

E ben a ragione uno scrittore fa dire a un suo personaggio che aveva ricevuto una visita mentre stava consumando il suo frugale pasto a base di pane e formaggio: «Non è una casa questa... perché manca il fuoco!... più giù troverete le vere case, con il loro pennacchio di fumo».

 
 

Ancora oggi del resto, alcune popolazioni selvagge, non ancora raggiunte dai progressi del mondo civile, adorano e temono il fuoco, definito «fiore rosso .. fratello del sole»; e quando la tribù viene privata dai suoi benefici, per la negligenza del guardiano del fuoco, la tristezza si impadronisce delle loro menti.

 

Il metodo della percussione, primo metodo di “creazione del fuoco”

 
 

L’uomo aveva da poco imparato a camminare in modo eretto, quando si rese conto che percuotendo con forza e “di striscio” alcuni tipi di pietra venivano emesse delle scintille, interpretate come piccoli frammenti di fuoco dalla vita effimera. Si trattava di farle cadere su qualche materiale infiammabile che facesse da esca per accendere un vero fuoco; un modo per copiare l’evento naturale del fulmine che provocava un incendio colpendo un albero. Logicamente non conosciamo tutto il processo investigativo dell’epoca, ma sicuramente avranno provato inizialmente a incendiare legno e foglie, senza un risultato apprezzabile.

 
 

Il risultato atteso arrivò invece utilizzando del materiale cotonoso ricavato con l’abile e paziente manipolazione di un fungo lignicolo molto diffuso, appartenente alla famiglia Polyporaceae (materiale cotonoso nell’antichità utilizzato anche con i compiti emostatici oggi espletati dal cotone idrofilo, oltre che come surrogato del tabacco da fiuto).

 
 

Due pezzi di selce, una roccia durissima costituita per lo più da quarzo microcristallino, percosse violentemente l’una contro l’altra provocano una luminescenza localizzata nel punto d’impatto, secondo un fenomeno conosciuto come ”triboluminescenza”. Ma in questo modo sarà impossibile generare delle scintille capaci di staccarsi dal punto di collisione. Per ottenere il fuoco è necessaria una scintilla capace di planare fino ad un’esca fomentaria posta ad una certa distanza ed è quindi necessario che almeno uno dei due elementi collisi sia un solfuro naturale di ferro.  Infatti l’azione meccanica che si esercita sui solfuri naturali di ferro (pirite o marcassite) avrà come conseguenza non una sterile luminescenza ma una reazione di combustione vera e propria, ovvero una scintilla la cui vita durerà per qualche secondo.

 
 

Queste particelle incandescenti sono provocate dagli oltre 1000 °C sprigionati per il violento impatto tra le pietre e che hanno innescato la combustione dello zolfo.

 
 

Per percuotere il solfuro naturale di ferro allo scopo di provocare scintille occorrono pietre estremamente dure e compatte, quali la roccia quarzifera, il calcedonio e la pietra silicea; inoltre è preferibile che queste pietre abbiano forma e dimensione adeguata all’impiego.

 
 

Per esempio, esistono reperti archeologici in cui tali pietre sono sapientemente inserite in manici ricavati da corna di cervo.

 
 

La scelta delle esche da battifuoco è rimasta circoscritta a funghi lignicoli della Famiglia Poliporaceae, e in particolare a Fomes fomentarius risultato molto funzionale avendo al suo interno una parte (detta “amadou” dagli archeologi sperimentatori e “contesto” o “carne” dai micologi) particolarmente sensibile alla scintilla che vi cade sopra, incendiandosi subito, ma lentamente.

 
   
 

Alcuni archeologi sperimentatori hanno provato che la Polyporacea migliore come esca per il fuoco

è Piptoporus betulinus, comune parassita delle betulle, che però non è mai stato ritrovato in resti

archeologici.

 

Il fungo più antico e più utile nella storia dell’umanità

 
 

Nonostante la sua natura deperibile, antichissimi resti di Fomes fomentarius sono stati eccezionalmente ritrovati in varie località. Nel sito di Star Carr nello Yorkshire in Inghilterra, negli strati del Paleolitico superiore è stata rinvenuta una grande quantità di questi funghi associata a dei noduli di pirite; nel Cantone di Friburgo sono stati rinvenuti alcuni Fomes fomentarius associati a percussori litici e a solfuri di ferro collocati negli strati Neolitici del sito; inoltre la celeberrima mummia del Similaun portava nelle sua cintura-marsupio vari frammenti di fungo fomentario ricoperti di polvere di solfuro naturale di ferro e una pietra focaia di selce.

 
 

Ormai è chiaro che l’impiego di tali utensili era indirizzata all’accensione del fuoco con il metodo della percussione, metodo che ha permesso di accendere il fuoco dalla preistoria fino a meno di due secoli fa. E in questa grande conquista per il progresso dell’umanità, il “fungo dell’esca” ha avuto un ruolo sicuramente da grandissimo protagonista. La sua efficacia nello svolgere un compito così importante lo ha reso insostituibile per un periodo incredibile; basti pensare che era preparato dai nostri antenati nell’età della pietra ed è giunto quasi ai giorni nostri, addirittura lavorato su grande scala negli ultimi secoli in Boemia e Ungheria ed esportato in ogni paese dell'Europa Occidentale. Solo l’invenzione dei fiammiferi, datata 1832, è riuscita a “mandare in pensione” il mitico “fungo dell’esca”.

 

Per chi volesse provare l’emozione di “creare un fuoco preistorico”

 
 

Come prima cosa occorre trovare un fungo fomentario. Una vecchia faggeta è l’ambiente dove è nettamente più probabile trovare Fomes fomentarius.

 
   
 

Lo strato di “amadou” si trova subito sotto la corteccia del fungo, per cui se il fungo è giovane e ha un carpoforo tenero, sarà possibile affondarvi il coltello o addirittura romperlo con le mani, altrimenti se la corteccia è uno strato duro, sarà possibile raggiungerlo scavando a partire dalla superficie del fungo che era a contatto con l’albero. Dopo aver raggiunto l’amadou si potrà procedere al suo trattamento secondo due modalità: la raschiatura-cotonatura o il taglio-estensione. 

Il metodo della raschiatura-cotonatura si applica quando il fungo è ormai secco, completamente disidratato, e prevede l’asportazione dell’amadou con una scheggia o uno strumento di pietra con il quale si va a raschiare lo strato di amadou direttamente all’interno del fungo; in questo modo si ottiene un preparato molto soffice e simile al cotone, pronto per l’utilizzo. 

Il metodo del taglio-estensione, si applica con gli amadou elastici che sono tali perché idratati, tipici dei funghi freschi e appena raccolti; prevede l’estrazione a brandelli dell’amadou dall’interno del fungo, l’estensione fino ad ottenere uno strato sottile, quindi l’asciugatura prima dell’utilizzo. 

E’ importante segnalare che i funghi fomentari raccolti dovranno essere conservati con cura; infatti un fungo invaso da larve o insetti non è utilizzabile in quanto l’amadou si trasforma in uno strato non coeso che tende a sgretolarsi. Per evitare il deterioramento del fungo è consigliabile procedere alla cotonatura o estensione dell’amadou subito dopo la raccolta. 

La percussione fra un percussore litico e un nodulo di marcassite o di pirite genera delle scintille con una vita di alcuni secondi e che possono arrivare a una distanza di 40-50 centimetri. La percussione deve essere finalizzata alla produzione di scintille veloci e con traiettoria rettilinea, che quindi possano raggiungere l’esca ancora molto calde.

L’esca fomentaria inizia una combustione molto lenta; non è necessario soffiare sull’esca perché l’amadou è talmente sensibile che la combustione si alimenta spontaneamente. L’esca in fase di combustione viene a questo punto inserita nel nido già preventivamente preparato con erba secca e foglie secche sbriciolate, poi si soffia all’interno del nido in modo che l’esca si ossigeni e la combustione prenda più forza. A questo punto si chiude il nido delicatamente in modo da non soffocare la combustione, ma permettere che l’erba si incendi; il nido inizia a fumare, si continua a soffiare tenendo le mani di lato al nido permettendo all’ossigeno di entrare dal davanti, attraversare tutto il nido e di uscire dal dietro. E’ necessario soffiare piano ma in modo continuato: il nido inizierà ad emettere un fumo bianco e denso poi finalmente e magicamente comparirà la fiamma !