Lactarius tesquorum  
A.M.B. Associazione Micologica Bresadola - a cura del Gruppo " G. Ceriani di Saronno"
Lactarius tesquorum, il "lattario del cisto"

- Ma..... "leccornia" o "immangiabile" per il sapore sgradevole?

- Il pericolo viene da Lactarius mairei

- Le più comuni modalità di consumo

- La tradizione

 

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Nella Puglia meridionale è conosciuto principalmente come Amarieddu, Amarieddu ti mucchiu, Fung t mucchi, Mucchiarul, Marieddhru. Accanitamente ricercato nei cisteti del litorale è poi consumato in modo rituale. E’ anche venduto in grandi quantità nei mercati o nelle caratteristiche bancarelle lungo le strade, ma per gli ispettorati micologici è specie non commestibile e quindi non commerciabile. Siamo entrati in questa interessante realtà per capirne di più.

 
   
 

Lactarius tesquorum,  il ”Lattario del cisto”, con ben evidenti il cappello “peloso” con sfumatura rosata e il gambo cortissimo, meno della meta del diametro del cappello, con una zona anulare rosa adiacente alle lamelle. (foto C. Agnello)

 
 

“Il fumo uccide” scritto sui pacchetti di sigarette probabilmente non ha mai convinto nessuno a smettere di fumare, e il fumo è sicuramente e notoriamente dannoso per la salute. Figuriamoci se un’intera popolazione che ricerca come ambita e gustosa preda l’Amarieddu da generazioni, rinuncia al piacere dei sapori della propria tradizione per editti legislativi calati dall’alto, che lo annoverano tra le specie non commestibili senza motivazioni oggettive. Tanto più che tra gli almeno 100.000 abituali consumatori del “lattario del cisto”, sono veramente rari i casi segnalati di disturbi gastrointestinali e, secondo fonti attendibili, sempre ascrivibili a vere e proprie abbuffate.

 
 

In realtà Lactarius tesquorum ha la sola colpa di essere un Lattario a lattice bianco, una categoria di funghi indicati come non commestibili ai corsi per ispettori micologici, in contrapposizione ai lattari a lattice rosso vinoso o arancio, considerati invece tutti commestibili, se pur di maggior o minor pregio. Una regola semplice, che in un sol colpo tende a eliminare dalla tavola sia i Lattari realmente tossici, tutti a lattice bianco, ma anche gli altri che, se pur non tossici, si ritiene contengano in quantità più o meno rilevanti sostanze irritanti per la mucosa gastrica e intestinale.

 
 

Una regola sostanzialmente condivisibile, tuttavia figlia della micologia del nord Italia, quando ancora ignara dell’esistenza della secolare tradizione alimentare del “lattaio del cisto”.

 
 

Sono molte le località in Italia e in Europa dove alcuni Lattari a lattice bianco vengono consumati dopo trattamenti quali la prebollitura, ma nella Puglia meridionale, e segnatamente nelle province di Brindisi, Lecce e Taranto, vi è una sorta di vera e propria venerazione per Lactarius tesquorum e per il suo gusto acre-amarognolo; nessun divieto o il fatto che non sia neppure inserito tra le specie commestibili e commerciabili è stato in grado di ridurne il consumo negli anni.

 
 

Cercare di convincere queste popolazioni della non commestibilità di Lactarius tesquorum, senza nessun dato oggettivo a supporto, sortisce come unico effetto la perdita di credibilità delle istituzioni di ispettorato e di associazionismo micologico.

 

Oltre tutto è singolare che nei corsi di micologia di base si predichi, per evitare sgradite sorprese, di consumare solo funghi con una consolidata tradizione alimentare, poi si voglia inserire un fungo diffusamente consumato da secoli tra quelli non commestibili, solo in quanto appartenente ad una certa categoria di funghi.

 
 

Stando così le cose, sarebbe probabilmente meglio inserire Lactarius tesquorum tra le specie commerciabili a livello regionale, assecondando una procedura già avviata in tal senso, lanciando poi una campagna di sensibilizzazione alle opportune norme di prudenza e igienico sanitarie a cui attenersi per il consumo di questo fungo, norme peraltro raccomandabili per la maggior parte dei funghi commestibili :

 
 

1° Moderarsi nelle quantità per singolo pasto, evitando più pasti ravvicinati, facendo proprio l’antico detto “tutto è veleno, nulla è veleno, è la dose che fa il veleno”; detto particolarmente appropriato quando si parla di funghi ancorché “commestibili”, ma valido per ogni alimento. Consumare in un unico pasto 3 kg di salsiccia con i peperoni “stenderebbe” 3 persone su 4; e anche il quarto se ripete l’impresa al pasto successivo.

 
  2° Consumare solo funghi in buono stato di conservazione e ben cotti. Ogni alimento deve essere consumato prima che inizino processi di decomposizione in grado di produrre tossine per l’organismo umano; e i funghi contengono proteine facilmente deteriorabili. Inoltre per la maggior parte dei funghi è raccomandata una buona cottura per eliminare le eventuali tossine termolabili, cioè degradabili con il calore.  
 

3° Essere sicuri della corretta determinazione della specie che si intende consumare, in quanto esistono Lattari relativamente simili e sicuramente tossici. Da alcuni anni la raccolta per la vendita sulle bancarelle salentine (tuttoggi “abusiva” e quindi senza controlli) viene effettuata in grande quantità anche in altre regioni, aumentando il rischio di confusione.

 
 

Così, una volta inserito Lactarius tesquorum nell’elenco dei funghi commerciabili, si potrebbero anche rendere obbligatori controlli da parte di ispettori micologici prima dell’esposizione sulle bancarelle.

 
   
 

Lattari in vendita. Nei momenti favorevoli si possono vedere anche

bancarelle con decine di Kg di questi funghi. (foto C. Agnello)

 
   
 

Bancarella salentina con differenti funghi locali in vendita. Lctarius tesquorum è presente al centro, in grande quantità. Amanita cesarea sulla destra, il pregiatissimo “ovolo buono”, a parità di prezzo sarà l’ultimo a essere venduto !  (foto C. Agnello)

 

Ma ……., “leccornia” o “immangiabile” per il sapore sgradevole ?

 
 

Alle eterne discussioni se Lactarius tesquorum sia da considerarsi commestibile (perché consumato per secoli da centinaia di migliaia di persone) o non commestibile (perché appartenente alla categoria dei Lattari a lattice bianco), se ne sovrappone un’altra altrettanto accesa, se cioè sia una leccornia, oppure presenti proprietà organolettiche tali da renderlo pressoché “immangiabile”.

Sicuramente il “lattario del cisto” ha un sapore, diciamo così, un po’ forte, un po’ difficile da accettare; ma perché dubitare della parola di chi ne detiene la tradizione e lo giudica, per i propri gusti, una leccornia ?

 
 

Tutte le popolazioni nell’antichità hanno imparato a nutrirsi con quanto gli veniva offerto dalla natura circostante, utilizzando le ricette più idonee per ottenerne il meglio come gusto e digeribilità. L’educazione ai sapori dei frutti della propria terra (o del proprio mare), sono poi stati tramandati dalla tradizione di generazione in generazione. Un individuo che ingerisce un cibo senza averne l’educazione al sapore è come un hardware nel quale venga inserito un file senza il software per poterlo riconoscere.

E non è neppure da escludere che ogni popolazione abbia sviluppato per i propri cibi tradizionali un idoneo patrimonio enzimatico per poterli meglio digerire !

 

Il pericolo viene da Lactarius mairei

 
 

Lactarius tesquorum è fungo meridionale con crescita legata al cisto. Lo si ritrova dal tardo autunno a tutto l’inverno, spesso in gruppi di alcuni esemplari ravvicinati. Morfologicamente ha un aspetto abbastanza tipico: colore di un giallino-rosato chiaro; cappello evidentemente cosparso di peli (villoso) specie al margine, margine che è arrotolato su se stesso (involuto) fino a maturità; lamelle bianco-crema-rosate; gambo cortissimo, il più delle volte con zona anulare rosata a contatto con le lamelle, sovente ricurvo e attenuato in basso; carne con odore debole, alla frattura secernente un lattice bianco di sapore acre-amarognolo.

 
 

Tra i lattari con cappello villoso-pelosetto, il più simile, per la medesima tonalità rosata, è Lactarius torminosus, conosciuto come “Peveraccio delle coliche”, un nome volgare che la dice lunga sulle sue caratteristiche alimentari. Fortunatamente la crescita di questo fungo è legata alle betulle e di fatto si può escludere la sua presenza alle latitudini meridionali.

 
 

Meno simile ma più insidioso è Lactarius mairei, per la sua possibile crescita nelle medesime località di Lactarius tesquorum, sotto le querce che eventualmente circondano il cisto. Si distingue per il colore ocraceo senza sfumature rosate e per il gambo mai così corto come in Lactarius tesquorum, che in tutti gli stadi di crescita è sempre inferiore alla metà del diametro del cappello.

 
   
 

 Lactarius torminosus, il “peveraccuio delle coliche”     e   Lactarius mairei, sosia tossici del “lattaio del cisto”.

 

Le più comuni modalità di consumo

 
 

Molteplici sono le modalità di consumo di Lactarius tesquorum, di cui riportiamo di seguito le più comuni.

Spritti alla tajedda (scodella di creta). In un soffritto di olio, aglio e peperoncino vengono tuffati i funghi dopo abbondante lavaggio (richiedono molti lavaggi poiché il terriccio e il fogliame secco si insidiano nel cappello villoso. Quando i funghi cedono l’acqua, viene spruzzato del vino rosso e ultimata la cottura con o senza l’aggiunta di pomodorini appesi. Alcuni usano dare una prebollitura al fungo (in dialetto “spuntata”).

 
 

Sott’olio. I funghi vengono fatti bollire per 15 minuti in aceto, acqua e sale (l’aceto varia da 30 al 50 %). Successivamente scolati, frettolosamente asciugati e messi ancora caldi in vasetti di vetro principalmente con aglio, menta e peperoncino, coperti di olio e richiusi.

Alla brace. Verrebbe da dire per “uomini veri”. Dopo un paio di rigirate sulla griglia il fungo viene condito semplicemente con olio di oliva, sale, pepe…

 

La tradizione

 
 

L’utilizzo di Lactarius tesquorum per uso alimentare nella Puglia meridionale ha radici che si perdono lontane nei secoli, tradizionalmente immancabile sulle tavole a partire dalla vigilia di Ognissanti e per tutto l’inverno.

I nomi dialettali più utilizzati nell’area, Amarieddu, Amarieddu ti mucchiu, Fung t mucchi, Mucchiarul, Marieddhru, richiamano tutti il sapore amarognolo del fungo e la sua crescita legata al cisto (“mucchiu”).

 
 

Riguardo la sua crescita legata al cisto è interessante osservare che si ha maggiore crescita di funghi quanto più le piante sono giovani e in zone a ridotta densità arborea, dove è possibile un buon irraggiamento solare del suolo. Così i vecchi “fungiari” ricordano che in tempi lontani si usava dare fuoco alla “macchia” quando il cisto era soffocato da altre piante o cresceva troppo, impedendo copiose comparse del fungo. Una pratica scriteriata che ha probabilmente contribuito in modo determinante alla riduzione della macchia mediterranea nel litorale pugliese, in quanto non di rado si perdeva il controllo del fuoco originando incendi boschivi devastanti.

 
   
 

Cisteto, con presenza di alcune querce (Quercus ilex e Quercus suber).  (foto C. Agnello)